"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

21 settembre 2017

Iraq: il sogno di suor Silvia, “ritornare alle radici”. I cristiani fanno lentamente rientro nella Piana di Ninive. Sicurezza e ricostruzione sono le urgenze

By SIR
Daniele Rocchi

“Siamo fuggiti da Qaraqosh senza avere tempo di prendere nulla, terrorizzati, in mezzo agli spari. Abbiamo abbandonato il nostro convento in 36 consorelle. Erano le 11 di notte del 6 agosto 2014…”.
Comincia così il racconto di suor Silvia, religiosa irachena appartenente all’ordine delle Domenicane di Santa Caterina da Siena, della sua fuga e di quella di 120mila cristiani iracheni dalla Piana di Ninive, dietro l’incalzare dei miliziani dello Stato islamico (Isis). Non è la prima volta che la suora, 37 anni, originaria di Alqosh, rievoca quei momenti.
Per lei è come riavvolgere il nastro dei ricordi ora che sono passati poco più di tre anni. Ma i segni di quei giorni e di ciò che è venuto dopo permangono visibili nelle decine di migliaia di cristiani che ancora vivono a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, in attesa di fare rientro nei loro villaggi, in larghissima parte distrutti dall’Isis e oggi liberati dall’esercito iracheno.
Suor Silvia parla anche per loro. La voce è bassa, gli occhi sembrano fissi quasi a trattenere dei ‘fermo immagine’ di quelle ore. “E’ stata una fuga in massa perché sapevamo quello che era successo nei giorni precedenti agli yazidi, 400 giovani uccisi e 5.000 ragazze vendute come schiave”. Le prime avvisaglie di ciò che sarebbe accaduto si erano viste già nel mese di giugno, quando l’Isis cominciò a dilagare nella Piana di Ninive: “Senza acqua e luce, sentivamo gli spari fra i miliziani e l’esercito. Ai cristiani veniva intimato di abbandonare i villaggi o di convertirsi all’islam, pena la morte”. La vita a Erbil non è stata, e non è facile. “Io e le mie consorelle siamo andate nel nostro Istituto. Dal 2014 ad oggi – rivela la suora tanto esile nel fisico quanto forte e risoluta nello spirito – sono morte 24 sorelle del nostro ordine. In tutta la piana di Ninive eravamo in 73. Lo shock, la paura e lo stress le hanno uccise”. Gli altri? “Chi ha potuto ha chiesto aiuto ai famigliari, in tanti nei primi tempi hanno dormito nei giardini, nelle strade e nelle chiese.
Siamo rimaste con la nostra gente, portando sostegno spirituale e materiale. Moltissimi gli aiuti che ci sono arrivati in questi anni grazie alla Chiesa cattolica e a suoi organismi come Aiuto alla Chiesa che soffre, le Caritas e Missio, che hanno donato kit igienici, vestiario, medicine, allestendo case prefabbricate e contribuendo a pagare anche metà del canone per quanti erano in affitto. La Chiesa italiana ci è molto vicina.
Sono sorte delle scuole, delle piccole cliniche per curare i malati. In strada non dorme più nessuno. Tutti hanno un tetto per ripararsi. Se non avessimo avuto la fede in Dio e l’aiuto delle Chiese di tutto il mondo non ce l’avremmo mai fatta.
Siamo figli della Chiesa, non siamo orfani”.

Oggi molti di questi cristiani sfollati a Erbil pensano a fare ritorno nei loro villaggi. I ricordi bui si fermano e gli occhi neri di suor Silvia riprendono luce e vigore. Anche la sua voce. Si sente parlare di ricostruzione, di rientro nelle case. A questa speranza si aggiunge anche un “grazie” all’esercito iracheno che “combattendo ha liberato la Piana di Ninive”.
“Voglio dire grazie ai nostri soldati musulmani che hanno sacrificato le loro vite perché credono che i cristiani sono parte dell’Iraq, sono iracheni.
Nonostante le diversi fedi ed etnie siamo un solo popolo”.
Parole forti che assumono un significato ancora più profondo quando la religiosa rivela che
“una volta liberati i villaggi della Piana i militari hanno voluto rimettere i crocifissi sopra le chiese. Quando hanno visto i sacerdoti fare rientro in ciò che restava delle loro chiese hanno fatto festa e dove possibile hanno anche suonato le campane. Qualcuno dei soldati ha chiesto di pregare con i nostri preti”.
Tuttavia gli ostacoli al ritorno cristiano nei villaggi liberati non mancano. “I principali – afferma suor Silvia – sono la sicurezza e la distruzione. Vere e proprie emergenze. Le macerie sono ovunque. Ci sono villaggi dove non è rimasta una casa in piedi. Chiese e conventi profanati e devastati. Anche il nostro di Qaraqosh dedicato a Maria Immacolata e che adesso vogliamo ricostruire con l’aiuto di Acs. Lentamente le famiglie cristiane cominciano a tornare, a Telleskof ce ne sono oltre 700, a Qaraqosh circa 500. Qui stanno riprendendo vita dei negozietti, una scuola e un piccolo centro clinico”.
In questa direzione va il progetto di Acs, che verrà presentato il prossimo 28 settembre a Roma, di ricostruire 13mila case distrutte dall’Isis nella Piana di Ninive, un vero e proprio “Piano Marshall”, il cui costo viene stimato il 250 milioni di dollari.
“Per i cristiani iracheni rientrare nei loro villaggi significa tornare alla vita, tornare a praticare la nostra fede nelle terre dei nostri avi.
Tornare per ricostruire ciò che l’Isis ha distrutto dentro ciascuno di noi, la libertà, la sicurezza, la gioia. Sostenere la speranza del popolo iracheno è difficile – ammette suor Silvia – perché non c’è speranza dove c’è la guerra, non c’è libertà dove c’è la guerra. Abbiamo bisogno per questo della presenza di Dio l’unica che può darci speranza. Se crediamo che Lui è con noi allora avremo la forza e la speranza di ricostruire e di andare avanti. La nostra fede non verrà mai meno, perché Gesù è con noi”.