"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

13 giugno 2017

La "stretta" voluta da Trump nei confronti degli immigrati colpisce duramente la comunità caldea negli Stati Uniti

By Baghdadhope*

Domenica 11 giugno nell'area di Detroit, in Michigan, gli agenti dell'ICE, (Immigration Customs Enforcement) l'agenzia federale americana che si occupa della sicurezza delle frontiere e dell'immigrazione, ha compiuto una serie di arresti (le fonti consultate divergono sul numero dei coinvolti che non sembra però essere inferiore a 40) tra la comunità irachena. Ad essere fermati e trasferiti in Ohio in custodia sono stati musulmani ma a quanto pare soprattutto cristiani che in passato, anche molto lontano, si sono macchiati di diversi crimini sul suolo americano. Crimini violenti e gravi in alcuni casi ma anche più lievi come possesso di droghe leggere che sono stati però espiati con condanne alla carcerazione.  
Perchè questa "stretta" del governo americano? Se alla base c'è il sostegno alla politica contro gli immigrati della nuova amministrazione da parte della base bianca americana, nei fatti contingenti c'è un do ut des che ha trovato le prime vittime. Quando, il 27 febbraio scorso, l'amministrazione Trump ha presentato per la prima volta il Travel Ban, il divieto cioè per i cittadini di 7 paesi a maggioranza musulmana ad entrare negli USA tra questi era presente l'Iraq. Successivamente, a marzo scorso, l'Iraq fu tolto dalla lista ma in cambio accettò il rimpatrio di propri cittadini che si fossero macchiati di crimini negli USA e che, sebbene non avessero ottenuto la cittadinanza americana per essi, erano rimasti nel paese grazie ai provvedimenti della passata amministrazione ed all'impossibilità di deportarli verso l'Iraq che non li accettava.
In alcuni casi si tratta di persone (tutti uomini) che vivono negli Stati Uniti da quando erano bambini, che non hanno documenti di identità iracheni, che non parlano l'arabo e che hanno addirittura servito nell'esercito americano.
Deportare gli iracheni di fede cristiana in un paese in cui non hanno più radici e che ha dimostrato di non essere esattamente un santuario per le minoranze religiose non musulmane (lo stesso Trump ha definito le violenze dell'ISIS contro le minoranze un "genocidio") vuol dire esporli a rischi gravissimi tanto che persino il di solito riservatissimo vescovo caldeo della diocesi degli Stati Uniti Orientali, Mons. Francis Kalabat, ha invitato pubblicamente la comunità caldea americana alla calma ed ha promesso di intervenire presso il dipartimento di stato, i senatori ed i membri del congresso, l'ambasciata irachena negli USA e la conferenza dei vescovi cattolici americani sulla base del fatto che "la Chiesa non si oppone alla giustizia e tutti i criminali recidivi che costituiscono un pericolo per la società devono essere arrestati ma molti di coloro che sono stati arrestati non sono criminali recidivi e nelle decadi passate sono stati dei buoni cittadini."
Questi arresti, continua il vescovo, "vanno contro il Genocide Bill passato al Congresso la scorsa settimana" che ha come scopo "la protezione dei cristiani" in Iraq e Siria.
Un progetto di legge che deve essere ancora firmato e reso attuativo da Trump.
Quel Trump che nelle passate elezioni americane gli iracheni di fede cristiana eletti a votare negli Stati Uniti hanno sostenuto in grande maggioranza delusi dalla politica di disinteresse verso le minoranze religiose in Iraq dimostrata dall'amministrazione Obama.
Se le deportazioni venissero davvero attuate potrebbero pentirsi di quel sostegno.